RIFORMA, SCOMMESSA PERSA. PENALIZZATE LE PICCOLE ASSOCIAZIONI - parte 3
04 Agosto

RIFORMA, SCOMMESSA PERSA. PENALIZZATE LE PICCOLE ASSOCIAZIONI - parte 3

RIFORMA, SCOMMESSA PERSA. PENALIZZATE LE PICCOLE ASSOCIAZIONI - parte 3

Prosegue la pubblicazione di interventi di eminenti esperti e docenti universitari, che ringraziamo per il permesso concessoci.
Parimenti ringraziamo www.retisolidali.it e https://volontariatolazio.it che hanno pubblicato tali interventi.
Da notare quanto questo articolo sia, per usare le parole di uno dei tre esperti, "drammaticamente sempre più attuale".

Eccovi l'intervento del Prof. Ugo Ascoli, dell'Università di Ancona.

 

I CAVALLI DI TROIA DEL VOLONTARIATO. 
«La Riforma porta in dote al volontariato pochi vantaggi e tanti problemi». Anche Ugo Ascoli, studioso che ha saputo coniugare sociologia ed economia, nonché esperto di lungo corso del non profit, una cattedra all’Università Politecnica delle Marche ad Ancona e un mare di pubblicazioni su questi temi, boccia la legge partorita dal governo Renzi e dal centrosinistra.
Accusa: «Sembra infatti una norma non pensata per il mondo del volontariato, ma cucita addosso alle altre forme del Terzo settore, tra le quali le imprese sociali e la cooperazione. In tal senso, quindi, la Riforma difficilmente potrà aiutare le associazioni a creare innovazione sociale, perché tende ad ingabbiarle limitandone l’autonomia».
Passando sotto la lente articolo dopo articolo, Ascoli sostiene che il Codice del Terzo settore contiene diversi “cavalli di Troia”, con il pericolo di snaturare il senso stesso del volontariato. «La prima criticità riguarda il concetto di gratuità, che è messo a dura prova con l’emendamento che prevede l’autocertificazione da parte del volontario delle spese sostenute, per un massimo di 10 euro al giorno oppure di 150 euro al mese. Pur parlando di autocertificazione e di rimborsi non forfettari e, quindi, basandosi sulla buona fede del volontario, è altrettanto chiaro che la norma di fatto consente una, se pur minima, “ricompensa” dell’attività volontaria. Se a questo si aggiunge che spesso un volontario è attivo in più associazioni, si potrebbero davvero nascondere forme di volontariato per lo meno “ibride” o rapporti di lavoro non regolamentati. In sostanza, nel momento in cui viene meno il concetto di gratuità legata al volontariato, si aprono scenari che vanno a mutare il valore di dono fine a sé stesso».

Prof. Ugo Ascoli, Università di Ancona

I CENTRI DI SERVIZIO. 
Un’altra insidia insita nel Codice del Terzo settore, a parere di Ascoli, è la questione relativa ai canali di finanziamento dei Centri di servizio per il volontariato. «Tali enti escono dalla Riforma ridimensionati, pur essendo innovativi nel panorama europeo, perché non hanno realtà simili in altri Paesi, e risultando, anche nella ricerca riportata nella recente pubblicazione “Volontariato e innovazione sociale oggi in Italia”, elementi fondamentali per la crescita delle organizzazioni di volontariato negli ultimi vent’anni. È infatti prevista una riduzione del numero – si parla di un dimezzamento – una probabile riduzione di risorse e, di pari passo, un aumento di competenze. Si prevede infatti che i Centri di servizio divengano agenzie di promozione e sviluppo del volontariato ovunque si manifesti, quindi la platea si amplia a tutto il Terzo Settore. Non vi è però previsione di un aumento di risorse che, presumibilmente, nei prossimi anni rimarranno stabili o in leggera flessione; inoltre, con la diminuzione del numero, si riduce anche la forza principale dei Csv, ovvero il loro stretto legame territoriale».

Da questo scenario risultano, secondo Ascoli, due principali nodi problematici: «Innanzitutto la possibilità che i Csv, per sopravvivere, possano mettere in vendita almeno parte dei loro servizi e, d’altra parte, una forma di controllo e legittimazione dei Centri molto centralizzati, fortemente influenzati e diretti dalle Fondazioni bancarie attraverso i nuovi organismi previsti».

IL RAPPORTO CON L’ENTE PUBBLICO. 
Altro elemento che è messo in dubbio da Ascoli è il ruolo del volontariato e il rapporto con l’ente pubblico. «Il rischio, in parte implicito nell’articolo 56 relativo alle convenzioni, è che si entri in una mera logica di appalti e che il volontariato possa “vincere” unicamente giocando al ribasso. Tale logica però limita e ingabbia le organizzazioni e riduce il valore aggiunto del non profit, che non può essere paragonato ad una qualsiasi altra azienda e valutato solamente per l’aspetto economico. Le convenzioni con l’ente pubblico dovrebbero invece potenziare il ruolo del volontariato e valorizzare quella marcia in più che i volontari sanno apportare nella gestione dei servizi, insita nel concetto di “welfare mix”. Inoltre in uno scenario che vede un aumento della povertà assoluta, fenomeni emergenti tra i quali i cosiddetti “working poor” e i “fast job”, risulta fondamentale trovare risposte adeguate e strategie che individuino nuove tutele per i bisogni emergenti. Da sempre la capacità del volontariato è stata quella di intercettare i nuovi bisogni e individuare rapidamente delle soluzioni. Se però le organizzazioni vengono ingabbiate da una normativa non adeguata, il rischio è che la capacità di innovazione diventi una chimera».

Da ultimo, osserva il professore di sociologia economica, «perché il volontariato rimanga forza innovatrice e generatrice, è importante che ne sia garantita la libertà e l’autonomia, che non sia appiattito unicamente a servizio del pubblico. È fondamentale che sia facilitata la governance delle organizzazioni, che siano sostenute da un lato la capacità di advocacy del volontariato e, dall’altro, l’azione critica che può svilupparsi solo grazie a reti nazionali forti, in grado di imporsi nei luoghi e nei tavoli decisionali».